Goo Goo Dolls

InterviewJune 10, 2013Rolling Stone Magazine

Domani nei negozi il loro decimo album, “Magnetic”. Ma i veterani (27 anni di carriera quest’anno!) ex-punk di Buffalo hanno ancora un tiro invidiabile

Di Fabio Schiavo

John Rzeznik, classe 1965, cantante, cantautore, chitarrista e fondatore dei Goo Goo Dolls, è un tipo gioviale e affabile che cerca di mettere chiunque a suo agio. Rilassato, vive la maggior parte del tempo in California, s’infervora quando parla di Magnetic – il nuovo disco del gruppo in uscita domani – che considera, e vorrete scusare la frase di circostanza, “…Probabilmente il nostro miglior lavoro di sempre”.

Lo guardi lì seduto – composto, con indosso una giacca di pelle da motociclista, mooolto stilosa – ricordi quando, nel 1987, agli esordi della band, era un giovane in canotta ricoperto di tatuaggi (li ha sempre, il preferito è una riproduzione del quado di Pablo Picasso Le Rêve), e pensi a quanto gli anni possano cambiare le persone. Oggi che la cosa più trasgressiva che esce dalla sua bocca riguardo le nuove canzoni è: “Vorrei trasmettessero speranza, aiutassero le persone nella ricerca della felicità, e veicolassero il messaggio che a tutti è concessa una seconda possibilità”.

Wow! Per John, Magnetic è essenzialmente: “Un lavoro di rottura con gli album precedenti, meno cupo e con un deciso spirito di rinnovamento. Lo potremmo definire il Sunny Side dei Goo Goo Dolls”. E sottolinea come: “Tutto ciò sia chiaro in Happiest of the Days, una delle canzoni firmate da Robby (Takac, il bassista, ndr)”. A parte ciò il nuovo disco dei Goo Goo Dolls parla essenzialmente della vita di Rzeznik e di quanti cambiamenti ci siano stati. “Adesso quello che raccontiamo è un punto di vista più maturo, da adulti”.

Nati (a Buffalo, New York) come una classica band post punk cresciuta ascoltando The Replacements, i Goo Goo Dolls oggi sposano sonorità più vicine all’alt-pop: “Il punk è ok agli inizi, quando sei un giovane arrabbiato, poi cresci e trovi altre cose”. In più, secondo John, il punk non è certo un genere: “che si presta ai grandi posti, tipo gli stadi. La sua dimensione naturale è quella dei piccoli club, dove riesce a trasmettere al meglio tutta la sua energia”. Quindi prosegue spiegando che: “L’errore è rimanere fermi. Pure i Beatles hanno iniziato con gli “yeah, yeah” e sono arrivati a incidere il White Album”. Paragone alto che subito viene stemperato dalla giusta dose di umiltà: “Ascolto tutti i grandi del passato, e mi piace imparare da chi ne sa di più. Tutti hanno qualcosa da insegnarti”. Non male, considerando che i Dolls sono stati capaci di piazzare loro pezzi in serie tv di successo come Streghe (January Friends e Brodaway), per non dire della sesta stagione di Beverly Hills 90210, dove erano presenti Long Way Down e Naked ed erano persino apparsi in carne ed ossa. “Sai, quando ti offrono un’occasione e un’opportunità, sta te a scegliere se coglierla o meno”.

A questo punto la domanda sorge spontanea: come avviene il processo creativo di John Rzeznik? “Ancora oggi non so darmene una spiegazione chiara. Quando scrivo, è il fatto stesso di scrivere a portarmi da qualche parte, ma non so mai di preciso che succederà, dove arriverò”. Poi aggiunge: “Tutto ciò mi ha sempre messo un po’ di ansia addosso, all’inizio mi sentivo impotente. Adesso, invece, sono più a mio agio”. John, allora, si considera più musicista o che? “Mi considero un artigiano: sono come uno che inizia a costruire sedie, e lavorando impara quali sono i suoi limiti, fin dove si può spingere e a non ripetere gli stessi errori”. Poi aggiunge che: “Oggi c’è troppa tecnologia in giro, tutto suona uguale, così si perde l’essenza delle cose, si perde l’arte”. E quindi, tornando al suo campo di competenza, lui si sente più analogico o tecnologico? “Mischio le due cose perché trovo la cosa divertente. Comunque le canzoni le creo sugli strumenti. Quando entriamo in sala di registrazione, infiliamo i jack negli amplificatori accendiamo i microfoni e il resto viene da sé”.

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